“Se pensi che abbiamo bisogno di due stipendi, trovati un secondo lavoro”: mio marito avrebbe dovuto stare attento a ciò che desiderava — Storia del giorno

Sono tornata a casa esausta, pronta a crollare, ma le risate provenienti dal garage mi hanno colpito come uno schiaffo. Eccoli lì: mio marito e il suo amico fannullone, con le mani unte e sudate, intenti a “riparare” quella maledetta macchina. Quando Mark mi ha suggerito di trovarmi un secondo lavoro, qualcosa dentro di me è scattato. E così ho fatto.
Sono entrata in casa con tutto il corpo dolorante, come se avessi portato sulle spalle il peso del mondo intero.
Le spalle mi sembravano di cemento, i piedi pulsavano e la testa mi martellava al ritmo del battito cardiaco.
Il lavoro mi aveva prosciugato fino all’ultima goccia di energia e tutto ciò che volevo era crollare sul divano, magari mangiare qualcosa, magari chiudere gli occhi solo per un minuto.
Ma nel momento in cui misi piede in casa, il suono delle risate attraversò la mia stanchezza come uno schiaffo.
Dal garage.
Solo a scopo illustrativo. | Fonte: Midjourney
Mi bloccai per un secondo, con le dita ancora strette sulle chiavi. Risate profonde, spensierate e completamente fuori luogo in quella casa dove le bollette si accumulavano e le responsabilità incombevano come una nebbia pesante. Strinsi la mascella.
Sapevo già cosa avrei trovato prima ancora di aprire la porta, ma mi avvicinai comunque, con passi sempre più pesanti.
Il garage puzzava di olio e sudore. L’odore di metallo era denso nell’aria, mescolato all’umidità del caldo estivo.
Solo a scopo illustrativo. | Fonte: Midjourney
Ed eccoli lì: mio marito Mark e il suo parassita del migliore amico, Greg.
Mani sporche di grasso, magliette macchiate di sudore, bottiglie che gocciolavano condensa sul banco da lavoro.
E, naturalmente, la stessa maledetta macchina che stavano “riparando” da settimane.
“Mi prendi in giro”, mormorai, incrociando le braccia sul petto.
Mark alzò a malapena lo sguardo, con la testa ancora sepolta sotto il cofano dell’auto, come se io non fossi nemmeno lì.
“Ehi, tesoro. Com’è andata al lavoro?”
Solo a scopo illustrativo. | Fonte: Midjourney
Le mie mani si chiusero a pugno lungo i fianchi. Come è andata al lavoro? La mia pelle formicolò per il coraggio di quella domanda.
La ignorai. «Ancora? Stai ancora trafficando con questo coso?»
Greg, appoggiato alla macchina come se fosse casa sua, sorrise. Quel sorrisetto sbilenco e presuntuoso che mi faceva sempre venire voglia di schiaffeggiarlo.
«Ci vuole tempo per farlo bene», disse, sorseggiando lentamente la sua birra.
«Ah sì?» La mia voce si fece tagliente come una lama. «Forse Mark dovrebbe provare a cercare un lavoro, invece».
Questo attirò la sua attenzione. Mark finalmente si raddrizzò, asciugandosi le mani con uno straccio sporco, come se questo potesse in qualche modo farlo sembrare un uomo che lavora per vivere.
Solo a scopo illustrativo. | Fonte: Midjourney
«Ci sto provando, ok? Non è così facile».
Sorrisi amaramente. «No, immagino che passare tutti i pomeriggi in garage a bere con Greg sia più facile, eh?».
Greg ridacchiò, bevendo un altro sorso di birra prima di scuotere la testa.
«Ehi, forse potresti fare due lavori finché lui non trova qualcosa. Sei già bravo a portare il peso».
Qualcosa di freddo e tagliente mi attraversò, squarciando la mia stanchezza, la mia pazienza, il mio autocontrollo.
Mi voltai verso Mark, aspettando che dicesse qualcosa, che dicesse al suo idiota amico di stare zitto, che almeno fingesse di sostenermi. Invece, lui si limitò a… scrollare le spalle.
Solo a scopo illustrativo. | Fonte: Midjourney
«Non è una cattiva idea», disse.
Il respiro mi si mozzò in gola. Lo fissai, aspettando che ritrattasse, che ridesse e mi dicesse che Greg era solo uno stronzo. Ma non lo fece.
Qualcosa dentro di me si spezzò.
«Va bene», dissi, con voce fredda e tagliente come il vetro. «Mi troverò un altro lavoro».
E così feci.
Una settimana dopo, la stanchezza mi aveva invaso così profondamente che persino i miei pensieri sembravano pesanti.
Solo a scopo illustrativo. | Fonte: Midjourney
Il lavoro all’autolavaggio mi aveva prosciugato: acqua calda, prodotti chimici aggressivi, lo strofinare senza sosta che mi lasciava le dita spellate e la schiena a pezzi. Persino i miei giorni liberi non erano più miei.
Aprii la porta sperando, solo per un attimo, di trovare un po’ di sollievo. Ma non appena entrai, capii che non era così.
Il posto sembrava un campo di battaglia. Il lavandino era pieno di piatti, con acqua torbida sul fondo e alcune forchette e coltelli che spuntavano come armi sepolte.
Il divano era coperto di vestiti: camicie sgualcite, calzini spaiati, jeans sgualciti, semplicemente gettati lì, senza che nessuno li toccasse. La polvere si era depositata su ogni superficie come uno spesso strato di abbandono.
Solo a scopo illustrativo. | Fonte: Midjourney
E lì, proprio in mezzo a tutto questo, c’era Mark. A braccia conserte. Con il viso contratto in un’espressione accigliata, come se fosse lui quello esausto.
“Niente cena?”, ha chiesto.
Ho battuto le palpebre. Ho dovuto prendere un attimo per essere sicura di aver sentito bene.
Poi ho riso. Brevemente. Con tono secco. Freddo. “Pensi che abbia tempo per fare due lavori e tenere questo posto pulito?”
Espirò dal naso, lentamente e con deliberazione, come se fossi io quella irragionevole.
«È un lavoro da donne.»
Solo a scopo illustrativo. | Fonte: Midjourney
Sentii le dita contrarsi. Non un pugno. Non ancora. Ma qualcosa dentro di me bruciava.
Lasciai scivolare la borsa dalla spalla, che cadde a terra con un tonfo sordo.
«Allora fallo», dissi con voce piatta, vuota. «Perché io ho chiuso».
Il suo cipiglio si fece più profondo. «Ho dei progetti. Greg e io…».
«Certo che hai dei progetti». Lo interruppi, scuotendo la testa. «Ne hai sempre».
Il peso delle mie parole rimase sospeso tra noi. Lui spostò i piedi, distogliendo lo sguardo come un bambino sorpreso a fare qualcosa di sbagliato.
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Mi avvicinai. «Promettimi che se riceverai un’offerta di lavoro, la accetterai».
Esitò. Solo un secondo. Appena un attimo. Ma io lo notai.
Strinse la mascella. «Va bene. Te lo prometto».
Lo fissai a lungo, cercando qualcosa: senso di colpa, rimorso, anche il più piccolo barlume di sincerità.
Ma non ho visto nulla.
E non sapevo se credergli.
Era tardi e tutto il mio corpo sembrava un peso morto.
Solo a scopo illustrativo. | Fonte: Midjourney
Mi facevano male i piedi, le mani odoravano ancora di sapone e cera per auto e le palpebre mi cadevano come se fossero di pietra.
Mi sono tolta le scarpe e mi sono lasciata cadere sul divano, emettendo un lento respiro.
Prima ancora di poter pensare di chiudere gli occhi, sentii dei passi. Mark.
Non mi preoccupai nemmeno di alzare lo sguardo. «Se stai per chiedermi della cena, giuro che…»
«Mi hanno chiamato», mi interruppe.
Il suo tono era diverso. C’era qualcosa di strano. Aprii un occhio, massaggiandomi le tempie. «Chi?»
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«Il lavoro». Si avvicinò, fermandosi davanti a me. «Vogliono che vada domani. È un lavoro da meccanico».
Mi sedetti un po’ più dritta, sbattendo le palpebre per scacciare la stanchezza. «Aspetta… davvero?».
Mark incrociò le braccia, e fu allora che lo vidi: l’espressione sul suo viso. Compiaciuto. Quasi orgoglioso, come se avesse appena dimostrato qualcosa di importante.
«Sì», disse. «Io e Greg ci andiamo insieme. Visto? Tu dubitavi di me».
Lo fissai, cercando di elaborare tutto in una volta. Avrei dovuto essere sollevato. Persino felice. Era quello che volevo, no?
Ma quell’ultima frase, «tu dubitavi di me», mi colpì nel profondo.
Solo a scopo illustrativo. | Fonte: Midjourney
Mi sono seduto completamente, scuotendo la testa. “Mark, non ho mai dubitato di te”, ho detto, mantenendo la voce ferma. “Volevo solo che smettessi di dubitare di te stesso”.
Qualcosa gli ha attraversato il viso, solo per un secondo, ma poi ha sorriso, come se avesse vinto una discussione che non stavo nemmeno cercando di avere.
Volevo essere felice per lui. Davvero. Ma il modo in cui si comportava, come se avesse ottenuto una vittoria, mi faceva venire il voltastomaco.
Strinsi le labbra e annuii lentamente. «Beh», dissi, sforzandomi di mantenere la voce calma. «Spero che funzioni».
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Poi mi appoggiai allo schienale del divano, chiusi gli occhi e lasciai che il silenzio calasse tra noi.
L’odore di caffè stantio aleggiava nell’aria, mescolandosi al debole profumo di carta e inchiostro della stampante.
Il mio ufficio era silenzioso, tranne che per il ronzio costante delle luci sul soffitto e il suono lontano dei telefoni che squillavano in fondo al corridoio.
Fissai la pila di rapporti davanti a me, le parole si confondevano. La mia mente era troppo annebbiata, troppo svuotata per elaborare qualsiasi cosa.
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Mi passai una mano sul viso, cercando di concentrarmi, quando un colpo alla porta ruppe il silenzio.
“Hai un minuto?”
Alzai lo sguardo e vidi Jake, uno dei miei colleghi, appoggiato allo stipite della porta, con una cartella sotto il braccio.
Aveva la cravatta leggermente allentata e le maniche rimboccate fino ai gomiti. Anche lui sembrava stanco.
«Sì», ho detto, stirandomi le dita prima di appoggiare le mani sulla scrivania.
È entrato, aprendo la cartella mentre camminava. «I candidati di cui mi hai parlato?», ha detto, alzando lo sguardo verso di me.
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«Non hanno molta esperienza, ma come hai chiesto, daremo loro una possibilità».
Ho annuito, sentendo lo stomaco stringersi leggermente. «Va bene», dissi. La mia voce era ferma, ma sentivo qualcosa che cambiava dentro di me.
Presi la tazza di caffè, bevvi un sorso e me ne pentii immediatamente. Freddo. Amaro. La posai e sospirai.
«Li controllerò io stesso», aggiunsi dopo una pausa.
Jake annuì, chiudendo la cartella con un tonfo sordo. «Immaginavo che lo avresti fatto».
Mentre usciva, mi appoggiai allo schienale della sedia, fissando il soffitto per un attimo.
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Qualcosa si mosse nel mio petto. Non sapevo se fosse anticipazione o paura. Forse entrambe le cose.
L’aria della sera era densa dell’odore di cera per auto, benzina e un leggero sentore di gomma bruciata. Le luci fluorescenti sopra il garage ronzavano, proiettando una luce fredda sul marciapiede.
Una leggera brezza sollevò la polvere vicino ai miei piedi, ma non fu sufficiente a raffreddare il calore che ribolliva dentro di me.
Uscii, scrutando con lo sguardo il gruppo di nuovi assunti riuniti vicino all’ingresso.
Erano in piedi in un gruppo informale, spostandosi da un piede all’altro, con le mani infilate nelle tasche, guardandosi intorno con un misto di nervosismo e aspettativa.
Solo a scopo illustrativo. | Fonte: Midjourney
Poi li vidi.
Mark. E Greg.
Il volto di Mark impallidì nel momento in cui i nostri sguardi si incrociarono, come se fosse appena caduto in una trappola che non aveva visto arrivare.
Greg, invece, ci mise un secondo in più, aggrottando le sopracciglia prima di aprire leggermente la bocca. Poi emise un fischio sommesso.
«Sei il nuovo capo?», chiese Mark con un filo di voce.
Incrociai le braccia sul petto. «Sembra proprio di sì».
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Mark deglutì a fatica. Riuscivo quasi a sentire gli ingranaggi che giravano nella sua testa, il modo in cui il suo cervello lottava per elaborare ciò che aveva davanti. Non era stupido. Aveva capito.
Greg, ovviamente, ci mise più tempo. Si grattò il mento, con la confusione dipinta sul volto.
«Aspetta… tu lavori qui?» Batté due volte le palpebre prima di capire finalmente. «Oh. Oh.»
Mark espirò profondamente, massaggiandosi la nuca, le dita che affondavano nella pelle come se cercasse di svegliarsi da un brutto sogno. «Dannazione.»
Alzai un sopracciglio, aspettando.
Le sue spalle si incurvarono leggermente. La sua voce era più bassa quando riprese a parlare. «Sono stato un idiota, vero?»
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Inclinai la testa. «L’hai detto tu, non io.»
Lui emise una risata breve e affannosa, ma non c’era umorismo in essa. Solo qualcosa di stanco, qualcosa di sconfitto.
«Non l’ho visto», mormorò, più a se stesso che a me. «Tu… tutto quello che hai fatto. Non ho visto quanto fossi forte. Quanto ti ho dato per scontata.»
Il silenzio calò tra noi. Pesante. Incompiuto.
Poi, finalmente, incrociò il mio sguardo. “Mi dispiace.”
Le parole furono più morbide di quanto mi aspettassi, ma non mi affrettai a rispondere. Le lasciai lì, sospese tra noi.
Sospirai, scuotendo la testa, con voce ferma. “Vediamo se dici sul serio.”
E con questo, mi voltai e tornai dentro.
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Questo articolo è ispirato alle storie di vita quotidiana dei nostri lettori e scritto da un autore professionista. Qualsiasi somiglianza con nomi o luoghi reali è puramente casuale. Tutte le immagini sono a solo scopo illustrativo.